Marco Liorni: «Altro che pacato, io mi preferisco “spettinato”»

Marco Liorni: «Altro che pacato, io mi preferisco “spettinato”»

Il conduttore, che in tv appare sempre garbato e rassicurante, si è divertito a raccontarci la sua vita… sorprendente “Spettinato” non è esattamente l’aggettivo che ti viene in mente quando guardi Marco Liorni in tv. Garbato, pacato, la faccia pulita, l’atteggiamento rassicurante: Liorni è impeccabile al timone dei suoi programmi “Italia sì!” e “Reazione a catena”, che riparte il 7

Il conduttore, che in tv appare sempre garbato e rassicurante, si è divertito a raccontarci la sua vita… sorprendente

“Spettinato” non è esattamente l’aggettivo che ti viene in mente quando guardi Marco Liorni in tv. Garbato, pacato, la faccia pulita, l’atteggiamento rassicurante: Liorni è impeccabile al timone dei suoi programmi “Italia sì!” e “Reazione a catena”, che riparte il 7 giugno. Ma dentro nasconde un’anima “spettinata”, che si è divertito a tirare fuori in questa sorprendente intervista.

Marco, a scuola deve essere stato uno studente modello…
«Macché… al secondo anno di liceo classico mi hanno bocciato perché da subito ho smesso di studiare e non andavo a scuola».

Non andava a scuola?
«A Roma si dice che “facevo sega”… marinavo insomma».

E dove andava?
«Mi intrufolavo negli studi televisivi delle emittenti locali, Teleregione, Teleroma 56, Teleurbe, Gbr… sono sempre stato appassionato di tv e di radio. Una volta sono riuscito a entrare in uno studio esterno della Rai in via Teulada, stavano facendo un’intervista ad Alberto Lattuada e io mi sono messo a guardare, ero rapito. Chiedevo agli operatori quante camere c’erano, come funzionavano… A un certo punto un cameraman mi chiede: “Ma tu sei figlio di qualcuno che lavora qui?”. Io: “No. Era aperto e sono entrato…”. Mi cacciò subito fuori».

E la sua carriera scolastica come proseguì?
«Ho ripetuto l’anno e mi rimandarono in Matematica. Ma poi ho recuperato e alla Maturità sono uscito con 60/60, il massimo».

Il suo voto più basso?
«Due in Matematica, appunto. Quella materia la soffrivo proprio. In compenso andavo molto bene in Filosofia, in Geografia astronomica e in Italiano: nei temi prendevo voti alti».

E in condotta come se la cavava?
«Ero in banco con Luca, che mi reggeva sempre il gioco quando c’era da evitare le interrogazioni. Gliene racconto una: eravamo all’ultimo anno, c’era interrogazione di Latino e io non avevo studiato. La professoressa Santi entrò e disse: “Oggi sentiamo… Liorni (la imita con un tono di voce pungente, ndr)!”. Ho immediatamente buttato la testa indietro, coprendomi il viso con la mano e Luca: “Prof, gli sta uscendo il sangue dal naso…”. E anche quella volta l’ho scampata. Mi scuso con la professoressa Santi».

L’ultima volta che ha riso a crepapelle?
«Quando ho visto “LOL” con Giovanna e le nostre figlie. In un momento in particolare, quando Lillo ha fatto una delle sue espressioni con gli occhi sgranati: siamo scoppiati tutti e quattro a ridere fino alle lacrime».

Cosa la fa arrabbiare?
«Quelli che se ne fregano degli altri, i negazionisti, quelli che credono alle fake news, che anche di fronte all’evidenza sostengono l’assurdo. Mi arrabbio perché mi sento impotente, mi verrebbe da urlare: “Svegliatevi!”. Oppure, in generale, quando sul lavoro qualcuno non mette la giusta cura in quello che fa».

Lei che è sempre pacato, com’è quando perde le staffe?
«Io mi arrabbio molto raramente. Quando succede, alzo la voce e infilo una mitragliata di motivazioni, arrivo fino in fondo al problema».

Quanto dura l’arrabbiatura?
«Mi passa subito. Anzi, poi mi dispiace e trovo il modo per recuperare, magari mi scuso per aver alzato la voce».

La sua espressione di disappunto più comune?
«Beh, è una parolaccia che ora non posso ripetere. Ma quando la dico rallento e scandisco bene le lettere: è più liberatoria così (ride)».

In tv è sempre in ordine, con la camicia, la giacca, la barba fatta, i capelli pettinati. Nel tempo libero?
«Sono un’altra persona. La barba la faccio solo quando devo andare in onda. Le camicie non le indosso mai perché sono scomode. Per non parlare della cravatta, che metto solo ai matrimoni e alle feste comandate. E non mi ha visto quando ero nel “commando ultras” della Roma in Curva Sud…(ride)».

Impossibile immaginarla come un ultrà.
«Erano gli Anni 80. Mio padre mi aveva regalato l’abbonamento alla Roma in tribuna laterale ma io entravo e mi spostavo in Curva Sud (comincia a intonare i cori della curva, ndr)».

Torniamo a oggi. Ora che ha finito di lavorare, come è vestito?
«Ho una maglietta bianca a maniche corte con un Charlie Chaplin disegnato sopra, un gilet a girocollo, i jeans e le scarpe da ginnastica. Non posso vivere senza scarpe da ginnastica. Le do un’anticipazione: nella nuova stagione di “Reazione a catena” avrò (finalmente) le sneakers!».

A proposito di intervista spettinata: i suoi capelli?
«Guardi, i miei capelli sono un macello. Li asciugo con le mani, non uso spazzole. E comunque ci pensano le mie figlie a spettinarmi».

Cosa intende?
«Quando Emma e Viola erano piccole amavano giocare al parrucchiere: mi mettevano seduto su una seggiolina e mi “pettinavano” a modo loro. I cavalli di battaglia erano i ciuffetti e le treccine (ride)».

Mi dica che ha una foto che la immortala così.
«Per fortuna no! Ma anche ora che sono cresciute, ogni tanto vengono lì e mi arruffano i capelli. Forse perché quando sono in tv ho i capelli in ordine e a casa loro mi vogliono come sono davvero: un uomo spettinato!».

Allarghiamo il discorso: il viaggio più “spettinato” che ha fatto?
«Dopo la Maturità sono partito con il mio amico Luca, quello del sangue dal naso, con la sua Vespa caricata all’inverosimile. Per due settimane siamo andati in giro lungo le coste della Campania e della Calabria. Avevamo solo i sacchi a pelo e dormivamo ovunque: sulla spiaggia, su un catamarano tirato in secco, sui pattìni… ogni notte ci svegliavano i Carabinieri e ci prendevano le generalità. È stata una vacanza avventurosa e bellissima».

La pazzia che ha fatto per amore?
«Innamorarsi è già per definizione una pazzia, no? Comunque avevo 16 anni, ero a Scauri (località di mare in provincia di Latina, ndr) e facevo il bagnino. Mi dicono che la mia ragazza era stata appena operata di appendicite all’Isola d’Elba. Sono partito la sera stessa con i treni locali, ho viaggiato tutta la notte e la mattina dopo ero a Portoferraio in ospedale, accanto a lei».

Lei faceva il bagnino?
«Sì, per tre anni dai 15 ai 17, ho lavorato nella spiaggia di un hotel a Scauri. Ma non facevo salvataggio».

E cosa faceva?
«La mattina alle 6.30 aprivamo gli ombrelloni e le sdraio, poi pulivamo la spiaggia e affittavamo i pattìni. E tutte le mattine alle 7 scendeva in spiaggia una signora e io l’accompagnavo con il pattìno sulla Spiaggia dei Sassolini, poco distante da lì. Poi rientravamo».

Sarà stata innamorata di lei…
«Ma no. Avevo solo 16 anni, le ero solo simpatico e remavo bene (ride)».

Torniamo a oggi. Sotto la doccia canta?
«Sotto la doccia no, ma canto sempre in auto. Una delle cose che amo di più è viaggiare in macchina, mettere la musica e cantarci sopra… sapesse che acuti mi escono fuori!».

È bravo?
«Solo con le canzoni dei Beatles: le conosco così bene che risulto quasi intonato. Sono la colonna sonora della mia vita».

Una canzone su tutte?
«In questo periodo “Here comes the sun”. Non mi provochi sennò gliele intono tutte (ride)».

Prego.
«Per carità, non finiamo più…».

E a casa balla?
«Come no? Con le mie figlie: le prendo in giro perché fanno i video su Tik Tok e alla fine mi ritrovo a ballare pure io…».

Lei è severo con i suoi figli Niccolò, Emma e Viola?
«Io mi chiedo spesso se sto facendo bene il genitore. Cerco di essere empatico e di trasmettere con l’esempio quello che vorrei imparassero. Vorrei che mettessero al primo posto sempre la libertà. Il sentirsi liberi non vuol dire fare tutto quello che si vuole, ma sentirsi liberi anche facendo qualcosa che si deve fare. E poi seguire l’istinto, quindi imparare ad ascoltarsi: io cosa voglio, cosa sento davvero?».

E lei da ragazzo cos’è che voleva?
«Guardi, ho fatto tanti lavori, oltre al bagnino. Ho venduto abitini per neonati nel negozio di abbigliamento di mia zia Vera e ho lavorato nella redazione italiana di “Penthouse”. Ma quello che volevo era la televisione. Nel 1990 a Gbr cercavano qualcuno esperto di basket, io avevo già lavorato a Radio Incontro occupandomi proprio di basket. All’epoca avevo barba e folti baffi di cui andavo orgoglioso. Feci il provino e andò benissimo, ma mi dissero che volevano un viso pulito, quindi dovevo tagliare tutto. Io dissi no. Ma sapevo che quella era la strada che volevo. Mi convinsi: dissi addio a barba, baffi e capelli lunghi e… eccomi qua. Da allora sono un uomo “pettinato”. Almeno in tv (ride)!».

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Alida J. Boelter
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